IL FUTURO DELLA CITTA E DEI SERVIZI DIGITALI

IL FUTURO DELLA CITTA E DEI SERVIZI DIGITALI

Di Marco Simoni (Presidente Human Technopole), Andrea Quacivi (Ceo Sogei), Elena Battaglini (Sociologa del territorio, Fondazione Di Vittorio)

D. Per affrontare il futuro della città e dei servizi digitali partiamo da Aristotele quando parlava dell’essere umano come di uno zóon politikón, ossia di un essere umano che non è possibile considerare se non come animale e soprattutto se non come calato all’interno di una relazione con altri esseri umani; per questo introduco Elena Battaglini. In un testo scritto da lei ho recentemente letto: «Dobbiamo riscrivere i codici dello stare assieme, proviamo quindi a far convivere in diverse piazze, anche digitali, gli elementi differenzianti, i driver di una città, cioè scuola, lavoro, salute, socialità, leisure, attualmente trincerati in politiche settoriali, in zonizzazioni, in microfisiche coercitive. Chissà se impareremo un nuovo senso del vivere in comunità».

R. Elena Battaglini: Mi riconosco, le ho scritte io queste parole. Permettetemi però di dire delle cose con un linguaggio altro e diverso che la scienza e gli studi socio-territoriali di cui mi occupo non mi consentono di usare. Vorrei fare una digressione attraverso un’immagine. Un grande metodologo, Lazarsfeld, diceva che nei nostri studi c’è sempre bisogno di un’immagine guida e per questa passeggiata che faremo insieme ho scelto un frammento del ciclo di affreschi di Lorenzetti, Allegoria ed Effetti del Buono e del Cattivo Governo, con cui ha raffigurato la città di Siena in un momento straordinario, un momento soglia tra il Medioevo e l’Umanesimo. Lo cito perché voglio parlare delle relazioni che la città contemporanea ha perso attraversando con voi la città medievale. Questa è una città carica di silenzio, che non si può dividere in parti perché è uno spaziotempo che totalizza gli elementi e le relazioni che la costituiscono. Una città, si badi bene, che non è ancora separata dal cosmo. Nella città medievale, cioè, in ogni istante si sperimentava un continuo radicamento nel cosmo; gli abitanti, e non i city users, conoscevano e immaginavano tutti gli altri in zone concentriche, i familiari più vicini, quelli che ignoravano o di cui non potevano sapere se erano piacevoli o temibili all’esterno. E si vede dalle forme di questo quadro. Quelli immaginavano in zone concentriche le relazioni che il loro desiderio e la loro paura lasciavano ancora alle potenze fantastiche, cioè la città medievale, diversamente dalla città contemporanea, era un luogo che forniva cornici a nuovi spazi di relazione, integrando le differenze. Questo è un aspetto molto importante: non espunge le differenze, ma le mette in relazione. Gli abitanti della città medievale, cioè, non vivevano ancora quello che stiamo vivendo adesso nelle nostre città, il dualismo mente-materia che ha separato lo spazio dal tempo. Fino ad ora ho sentito parlare molto di tempo e di accelerazione, ma non ho ancora sentito parlare di spaziotempo. Parlare di sviluppo tra queste grandi imprese tra loro collegate significa parlare di senso e per parlare di senso bisogna parlare necessariamente di uno spaziotempo, che pure informa modelli di sviluppo. Lorenzetti dipinge questo grandioso ciclo di affreschi tra il 1337 e il 1339 in un momento straordinario, perché nel 1336 nasce il concetto di paesaggio con la famosa passeggiata di Petrarca sul Monte Ventoso. Siamo in sostanza in un momento soglia, importante perché mette in relazione ciò che ci lasciamo alle spalle con ciò che intravediamo del futuro. Gustave Flaubert una volta formulò questo pensiero: «Quando gli dei non c’erano più e Cristo non ancora, tra Cicerone e Marco Aurelio, c’è stato un momento unico in cui è esistito l’uomo solo». Era un tempo soglia anche quello, centinaia di anni prima. Nella città di Siena, in quel momento straordinario, quella frase si può parafrasare così: «Era il tempo in cui la fusionalità con Dio era sparita, ma il tempo disgiuntivo e lineare della scienza del ‘600 non era ancora nato, esisteva solo lo spaziotempo». Ecco, questo spaziotempo resterà nel cuore delle botteghe rinascimentali, perché era uno spazio che segnava il tempo della vita attiva. Dobbiamo rifondare nella nostra città queste relazioni spaziotemporali, trasferendo i tempi della vita attiva dall’arte e dalla scienza all’imprenditorialità.

D.: Credo che questo invito al ripensamento e alla ridefinizione, all’abitare lo spaziotempo in maniera differente, sia un ottimo passaggio per chiedere ad Andrea Quacivi, come si sta delineando il processo di digitalizzazione, di creazione di un nuovo spaziotempo, e come procede la definizione delle piattaforme ecosistemiche.

R. Andrea Quacivi: Tutto quello che si era creduto fino a qualche tempo fa e prima del Covid oggi va completamente ripensato, perché bisogna guardare al futuro come a qualcosa di nuovo. Non si può ripartire da approcci vecchi e rientrare attraverso degli schemi consolidati. E questo dal nostro punto di vista significa lavorare su un ecosistema che abbia sotto di sé delle piattaforme da considerarsi necessariamente inclusive, dove devono poter trovare spazio in termini di collaborazione e co-creation imprese, professionisti e pubblica amministrazione. Oggi dobbiamo affrontare delle sfide importanti nelle quali il digitale, le piattaforme sistemiche e gli ecosistemi diventeranno, secondo me, le infrastrutture su cui contare per creare un futuro diverso. Ad esempio, qualche mese fa è stato pubblicato uno studio molto interessante di Ambrosetti che dimostrava come il ritardo di crescita del nostro prodotto interno lordo fosse legato non tanto, e non solo, alla produttività e al costo del lavoro, ma alla produttività multifattoriale, intesa come l’insieme della capacità manageriale, della digitalizzazione e altro. Su questo fattore oggi, però, possiamo costruire un forte rilancio del nostro Paese, perché abbiamo dimostrato in questi due mesi, senza volerlo, di essere pronti a reagire sul fronte del digitale. Essere mentalmente disponibili a nuovi approcci in ambito digitale significa abbandonare schemi vecchi e affrontare un cambiamento culturale importante. E questo renderà possibile una maggiore prossimità tra imprese, professionisti, cittadini e pubblica amministrazione. Quest’ultima dovrebbe andare velocemente verso quello che noi intendiamo per digital government, cioè essere realmente un fattore abilitante per la crescita del Paese. Sono sicuro che nei prossimi mesi l’Italia inserirà nell’asset di sviluppo strategico, e quindi nelle politiche, il digitale. E la PA digitale è effettivamente un punto di partenza importante perché semplicemente immaginando nuovi modelli è possibile comprendere meglio i bisogni dei cittadini, delle imprese e dei professionisti, essere più vicini a loro e abilitarli maggiormente creando delle condizioni migliori; abbiamo dimostrato che il digitale questo lo può consentire. Gli ecosistemi, quindi, devono essere costruiti intorno a un modo diverso di considerare l’inclusione delle parti tale da ammettere un futuro completamente nuovo, schemi nuovi.

D. Una delle parole che hai sottolineato è “collaborazione”, dal latino cum e labor, cioè lavorare insieme. Eppure non basta lavorare insieme per collaborare. Chiedo a questo proposito a Marco Simoni, ideatore del progetto Mind, uno degli esempi più brillanti di ecosistema con il mondo della ricerca e della scienza della vita, in un contesto che comprende un ospedale e una città interna: in che modo i contesti innovativi come Human Technopole aumentano la creatività, favoriscono le relazioni e riescono a passare dall’idea di lavorare insieme e basta all’idea di collaborare?

R. Marco Simoni: Sappiamo che avere alcuni centri di gravità permette che tante persone e aziende, che si occupano non necessariamente dello stesso tema ma di temi confinanti, si incontrino a volte per caso al bar per un caffè o un drink, e da quegli incontri, proprio perché avvengono tra settori confinanti, scaturiscono nuove idee e nuovi progetti e soprattutto questi progetti e queste idee è possibile metterli in campo immediatamente. La differenza tra un giovane che ha un’idea in un luogo isolato e un giovane che ha un’idea dentro una grande città in cui ci sono tante opportunità è che la seconda persona, magari con la stessa idea o magari con una meno brillante, ha però gli strumenti per metterla in pratica, per farla diventare concreta. Vivremo nei prossimi mesi e anni in un contesto completamente diverso, in cui alcuni settori, alcuni luoghi soffriranno più di altri, quelli cioè in cui il distanziamento sociale, cui siamo ancora sottoposti, e forse saremo ancora a lungo, influisce di più. Le grandi città soffriranno particolarmente, ma esse sono anche i luoghi in cui si può trovare la creatività necessaria a far nascere nuove aziende, nuovi tipi di business, che rispondano ai nuovi bisogni generati dagli attuali rischi globali. Per questa ragione le città e gli ecosistemi sono e saranno dei luoghi fondamentali su cui investire.

Io credo che questa iniziativa miri a mostrare che nel mondo alle nostre spalle ogni impresa se la cavava da sé, era una monade nel mercato, ma nel mondo in cui stiamo entrando il modo migliore che hanno le aziende per sorpassare la crisi e diventare più resistenti non è più quello di stare da sole, ma di creare e aiutare gli ecosistemi. Questo significa che, come accade ad esempio in Mind, che è una cittadella dell’innovazione che stiamo costruendo a Milano negli spazi dell’expo, e così come avviene in altri luoghi del mondo, una parte di quello che si fa per le altre aziende non lo si fa necessariamente in vista di un ritorno immediato, ma perché quando cresce l’ecosistema, quando si rafforza il luogo in cui si opera, il beneficio è di tutti. Io credo anche che in questo momento la sfida chiave sia far crescere ecosistemi nuovi in luoghi come l’Italia in cui non ce ne erano forse poi così tanti prima, usando al massimo gli strumenti digitali, come quelli che usiamo adesso per poterci parlare e confrontare ognuno da casa propria. Il punto fondamentale è che in un ecosistema quando si agisce in favore del sistema si sta automaticamente agendo anche per il proprio vantaggio, perché si irrobustisce l’intera struttura. Perché questo sviluppi la creatività, non lo sappiamo: è la magia dell’essere umano, il fatto che ci si incontri inaspettatamente e che da lì nascano nuove possibilità. Affinché questa non sia soltanto retorica, ma sia invece una realtà, è fondamentale che l’ecosistema sia robusto e che al suo interno agiscano attori di tipo diverso, di tipo finanziario, tecnologico od old economy. Per questa ragione un posto come Venture Thinking deve avere filosofi, sociologi, economisti e manager, perché soltanto quando si è in un luogo che offre strumenti alle idee, solo allora queste ultime acquistano concretezza. Si dice che la visione senza esecuzione non è una visione ma è solo un’illusione. Il punto è fare in modo che le idee, una volta germogliate, possano crescere. Per questa ragione oggi dobbiamo passare dalla concezione univoca di città e di ecosistema come luogo concentrato dal punto di vista fisico, che è stata fondamentale negli scorsi vent’anni di globalizzazione, a un ecosistema digitale ancora più flessibile in grado di offrire possibilità anche a persone che sono fisicamente più lontane.

Negli ultimi vent’anni sappiamo che l’innovazione è stata spazialmente molto concentrata: in alcune città e settori – si pensi alla famosa Silicon Valley – si era raccolta la percentuale più alta di innovazioni a livello globale. La crisi odierna cambierà questa situazione ed è bene muoversi da subito per costruire il mondo a venire. E muoversi da subito è la ragione fondamentale per cui l’iniziativa di oggi è così importante.

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