26 Mag STRATEGIE DI COMUNICAZIONE IN TEMPO DI CRISI
Di Yago De la Cierva, IESE Business School
Sono professore di comunicazione e gestione di crisi in IESE, la business school dell’Università di Navarra. Per cominciare vorrei considerare l’immagine di uno stadio. Nel vecchio mondo noi eravamo dei giocatori, una squadra il cui unico compito era quello di giocare bene e vincere, mentre tutti coloro che erano intorno a noi gestivano il resto, riempivano le tribune, distribuivano il cibo e le bevande, gestivano l’ingresso, la sicurezza e la pulizia. Nel nuovo mondo, quello che si apre con la pandemia, all’interno dello stadio i giocatori non devono solo gestire il gioco, ma anche la sicurezza, e nelle tribune ci sono non soltanto spettatori, ma anche persone venute lì a rifugiarsi o a condurre del traffico illecito. Quindi in questa nuova situazione non possiamo dedicarci solo ed esclusivamente alle cose che erano di nostra competenza, dobbiamo imparare a gestire tutto e per farlo abbiamo due opzioni. La prima è scegliere una campana di vetro da cui farci proteggere: potremmo sopravvivere a questa pandemia da soli, isolandoci dal resto. Oppure possiamo scegliere la cooperazione, capire che andremo avanti solo se lavoriamo insieme, il che equivale a dire che gli altri non sono il nemico, ma l’unica possibilità che abbiamo per la sopravvivenza. C’è un detto che mi sembra possa cogliere l’essenza di tutto ciò: quando andiamo da soli andiamo più veloci, ma quando andiamo insieme ad altri arriviamo più lontani.
È stato detto spesso che viviamo in un ecosistema in cui tutto è collegato con tutto. Infatti in una giungla non è vero che il leone è il re, perché se manca il polline di una specifica pianta uno dopo l’altro cominciano a sparire tutti gli elementi fino a quando non scompare anche il leone. Quindi ogni elemento è connesso e questo vale anche per il nostro ecosistema aziendale, con impiegati, clienti, azionisti, investitori, fornitori, autorità pubbliche, istituzioni, vicini e media, nel quale o sopravviviamo tutti insieme oppure non ci sarà continuità.
Alle volte si pensa che la comunicazione sia un mezzo per vantarsi, vendere o fare bella figura, mentre al contrario la si deve utilizzare per essere trasparenti, per far vedere quello che facciamo e soprattutto quello che siamo e in questo senso potrebbe aiutare le aziende piccole e grandi a sopravvivere e a rifiorire. La sua funzione più importante è favorire la credibilità: se non siamo credibili, comunicare è inutile e ogni sforzo vano. Inoltre, i comunicatori, i dipartimenti di comunicazione e gli assessori alla comunicazione si dedicano a promuovere il consenso. Durante una crisi o tutti condividono la scelta di una soluzione o nessuno la seguirà, o, peggio, appena ci sarà la possibilità di lasciare lo faranno. I comunicatori si occupano anche di assicurare un accordo all’interno e all’esterno delle aziende o delle organizzazioni di ogni tipo e di farlo con trasparenza e chiarezza; la trasparenza, infatti, è l’unico modo attraverso cui si può rispondere a questa domanda: «Mi posso fidare di te?». In questa situazione stiamo chiedendo ai clienti, agli impiegati, alle autorità pubbliche, al fornitore e a tutti gli altri di fidarsi perché il pagamento arriverà, di darci del tempo eccetera. Ma a loro volta questi interlocutori ci chiedono se possono fidarsi e l’unico modo in cui possiamo offrir loro garanzie è con la trasparenza: si fideranno di noi se siamo trasparenti e chiari nei nostri programmi.
È molto importante conoscere bene gli stakeholder, bisogna condurre un’analisi sulla loro condizione, in modo tale da capire se sono preoccupati e che cosa si può fare per rinforzare il legame. Inoltre non si deve negoziare direttamente con loro, ma bisogna muoversi all’interno delle aziende dello stesso settore: favorire una collaborazione attraverso cui sia più facile dare risposte ai problemi senza l’intervento delle autorità pubbliche, le quali molto spesso agiscono per ridurre l’autonomia delle aziende.
Gli individui seguono una decisione perché sono convinti che sia quella giusta, anche se dura, sofferta e lunga, non si può semplicemente imporre loro una posizione senza aver negoziato con tutti. Il potere della persuasione consiste proprio nel convincere la gente che quello che noi proponiamo sia la soluzione migliore per loro. C’è una legge universale nei periodi di crisi: people before profits. La gente viene prima del profitto. E la Banca Centrale Europea che dice alle banche di proteggere prima di tutto le persone ne è un chiaro esempio. Per questo è importante conoscere i propri interlocutori.
Per comprendere come ragionano oggi gli stakeholderdobbiamo capire che cosa è un rischio. I rischi sono minacce di danno appese su di noi come spade di Damocle e creano un’emozione molto forte che è la paura. È importante, però, rendersi conto che questa percezione del rischio, questa paura che i nostri stakeholder soffrono, è soggettiva, dipende cioè da vari fattori: età, educazione, sesso e senso di responsabilità. I giovani si credono immortali, non si intimoriscono, mentre le persone più anziane, più mature, sentono che la paura non è in sé un fattore negativo, ma potenzialmente tanto forte da far perdere loro la libertà. E chi ha studiato giurisprudenza sa bene che quando una persona agisce per paura la sua responsabilità è minore davanti alla legge. La percezione del rischio può dipendere poi dall’educazione: le persone più formate hanno meno paure, quelle meno formate di più. Può dipendere anche dal sesso: per esempio le donne sono molto prudenti, mentre gli uomini azzardano di più. Le persone single hanno meno da perdere, quindi si preoccupano di meno; invece chi ha persone a carico ha più responsabilità e quindi più rischi a cui far fronte.
Quello che dobbiamo tenere a mente dal punto di vista della comunicazione è che ognuno considera diversamente i rischi, se siano accettabili o insopportabili. Sappiamo, ad esempio, che chi guida una moto è tranquillo e sereno perché ha il comando, perché si sente a suo agio, invece il passeggero soffre tantissimo. I fattori di familiarità e di controllo agiscono in modo sensibile. Vale infatti per gli incidenti domestici, nel senso che ci sono molti più infortuni a casa che a lavoro, perché nessuno ha paura quando è a casa. La stessa cosa quando siamo in aereo, i passeggeri hanno paura perché sono seduti senza vedere nulla, non controllano niente. Quindi è molto importante essere flessibili, non obbligare tutti a fare le stesse cose, avere la capacità di adattarci alle circostanze, perché diverso è il timore di ognuno. Essere empatico significa ascoltare con attenzione: chi è arrabbiato o soffre la paura non ascolta, almeno finché non si sente ascoltato a propria volta. Non perdere la calma di fronte agli eventuali comportamenti bizzarri delle persone sarà fondamentale, perché dovremo essere in grado di fornire gli strumenti di informazione adeguati affinché il rischio diventi più familiare e quindi controllabile. Se dovessimo fallire in questo, non potremmo far nulla per proteggerci. Un’altra funzione importante della comunicazione è quella di mandare messaggi positivi sul futuro, dal momento che in circostanze come queste i problemi, i danni, le sofferenze del passato sono oscurate dal futuro e dall’incertezza che esso nasconde, prospettiva verso cui il pensiero è interamente rivolto.
Ridotta ai minimi termini la questione è: posso fidarmi di chi mi rappresenta? Dobbiamo raccontare, dobbiamo mostrare in modo chiaro come sarà il futuro. È imperativo evitare una situazione simile a quella in cui ci troviamo quando siamo alla guida e davanti a noi si para un camion che ci impedisce di vedere cosa c’è oltre. Dobbiamo fare l’esatto contrario, rischiarare la vista, usare scenari per far conoscere quale sarà la nostra reazione in futuro. Gli scenari sono come gli strumenti di un medico: analisi, diagnosi e trattamento. Se una determinata situazione si verifica, va individuato il problema e valutato un piano di azione. Dobbiamo farlo con trasparenza. Se si vuole la fiducia degli stakeholder, ci si deve fidare di loro coinvolgendoli. Questo non significa raccontare tutto a tutti, significa raccontare ciò che serve. La trasparenza non è mai un valore universale, è un dovere con quelli che hanno diritto di sapere. E questo vale, per esempio, con i nostri clienti, dobbiamo raccontare loro se faremo in tempo a fornire un servizio o un prodotto, e lo stesso con i dipendenti. Perciò la raccomandazione primaria in un contesto simile riguarda gli aggiornamenti frequenti. Questo non vuol dire aggiornare le informazioni quando se ne hanno di nuove, ma aggiornarle quando la gente spera che ci siano nuovi dati. Allora anche comunicare semplicemente che non ci sono novità è una buona comunicazione. Sono importanti, poi, i canali che lascino ascoltare: le email sono utili ma non permettono l’ascolto, perciò meglio il telefono, Zoom o Skype. È bene ricordare infine che siamo i mediatori, non gli intermediari: quello che dobbiamo fare è mettere in contatto diretto con la fonte di informazione, senza intermediare.
Una comunicazione frequente serve anche per chiarire gli errori in cui la gente può essere caduta, seppur minimi.
Conviene infine fare tutto sempre con chiarezza e concisione, soprattutto in questa circostanza in cui la preoccupazione ci distrae tanto che non riusciamo a finire di leggere un’email.
In fondo quello che serve nei momenti come questo è una leadership visibile, che sia davanti all’istituzione. È come se questa crisi fosse una lunga maratona in cui bisogna lavorare con il tempo a disposizione e avendo come interlocutori tanti altri imprenditori o dirigenti aziendali. È importante riposare, non ostinarsi a risolvere tutti i problemi e delegare, anche nella comunicazione. L’umiltà sarà la nostra migliore amica.
Il modo di comunicare più efficace in questi giorni sarà soprattutto quello di incoraggiare con l’esempio. Torno allora all’inizio: la comunicazione non consiste nel vantarsi, ma nel far vedere quello che si fa e soprattutto quello che si è. Facendo così, la luce in fondo al tunnel si vedrà e potremo uscirne quanto prima.
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