PMI E L’ACCELERAZIONE ECOSISTEMICA – INTERVISTA A IBARRA

PMI E L’ACCELERAZIONE ECOSISTEMICA – INTERVISTA A IBARRA

Di Maximo Ibarra, CEO Sky Italia

D. Sappiamo che il tema del purpose è caro a Maximo Ibarra. Considerando poi gli ultimi interventi sia di Tal Ben Shahar sulla felicità e di Jeffrey Pfeffer sul tema della salute saremmo curiosi di sapere, come leader in questa fase difficile, qual è il suo pensiero su questi argomenti e quale sviluppo troveranno in un ambiente di collaborazione ecosistemica.

R. Mi piacerebbe cominciare da un’esperienza. È diverso tempo che ho a che fare con persone giovani che entrano in azienda, faccio loro colloqui o interviste. Quello che negli ultimi anni, soprattutto negli ultimi due, mi sono sentito dire quando chiedo loro con quale interesse entrano in azienda, è che i soldi sono importanti, ma non sono l’obiettivo principale. Ciò che a loro interessa veramente è come far in modo che la propria attività lasci un segno. Alla domanda più specifica, cosa significhi lasciare un segno, entrano nell’ambito del purpose: poter fare qualcosa che non riguardi soltanto l’attività verticale o stand alone nell’azienda specifica, ma che possa andare ben oltre. Ovviamente i ragazzi non hanno un’idea ben precisa, quello che vorrebbero è entrare in un progetto dove si possa collaborare con persone che hanno esperienze diverse, avere la giusta responsabilizzazione, dei task che possano permettere loro di essere creativi, ma fondamentalmente quello che desiderano è poter trarre giovamento da un compito che vada al di là dello specifico obiettivo che in quel momento stavano cercando di raggiungere. Alla fine tutto trova un ottimo accordo all’interno di un’azienda.

Bisogna domandare ai propri collaboratori, ma anche a tutti gli stakeholder, quale sia l’obiettivo specifico di un’azienda, se sia quello di fare business bene nell’ambito dell’industria che la caratterizza, oppure di farlo all’interno di un sistema molto più ampio. Ed è qui che entra in gioco la collaborazione. È importante avere un conto economico in ordine, avere dei ricavi e dei giusti margini, ma è evidente che per poter ottenere uno sviluppo a prova di futuro è necessario essere molto più collaborativi, aperti, trasversali. Devo poter avere sempre questa big picture, che non è altro che il purpose, cioè sostanzialmente il vero obiettivo, la vista che va oltre il proprio perimetro aziendale. Tutto ciò comprende i temi tipici della corporate social responsibility, l’ambiente e la cura delle persone, dei propri collaboratori e dei collaboratori dei collaboratori; ma anche l’idea che l’azienda possa porsi all’interno di un ecosistema per dare un valore aggiunto alla società nella quale opera e possa parlare con le istituzioni per dare un contributo sul futuro. Sono questi gli elementi che alla fine consentono a una realtà aziendale, grande o piccola, di poter avere un purpose molto ben definito. Non basta seguire un’istruzione, ma bisogna cercare di aprire gli occhi dei propri collaboratori, del proprio management e anche di se stessi e il miglior modo per farlo è provare a immaginare come saranno nel futuro, tra 3,4 o 5 anni, la propria azienda e la società. In questo esercizio, che è anche molto interessante da fare, si colgono degli aspetti che in un normale business plan sfuggirebbero. E se si sa ascoltare quello che succede all’interno e all’esterno, cioè se si dà una maggiore enfasi a questa capacità di vedere al di là del proprio naso, al di là del perimetro aziendale nel quale si opera, ecco che si riesce a comprendere come dare un contributo più fattivo e positivo per ergersi come un’unità, non soltanto un’unità produttiva di business, in questo contesto molto più ampio nel quale dare un valore aggiunto alla società più alto, più interessante, e soprattutto a prova di futuro.

D. La capacità di chiedere e di ascoltare è un tema molto interessante, che tra l’altro si apre sui due mondi costituenti di Venture Thinking, quello della filosofia e quello dell’impresa, di chi sa fare le domande e di chi in qualche modo, pur non avendo un’idea applicativa in grado di dare subito la risposta, proietta scenari nuovi. E l’esercizio di immaginare il futuro è proprio quello che stiamo cercando di fare con questa serie di interventi. A questo riguardo vorrei chiederle in relazione al settore in cui opera qual è e quale sarà il futuro dell’informazione e della comunicazione. Cosa prevede che avverrà, soprattutto in una fase in cui la digitalizzazione è diventata ormai una pratica attiva e si dovranno immaginare di nuovo i nostri modi di vivere?

R. Quando si ragiona sui temi del futuro e dell’ascolto è importante cercare delle collaborazioni che non siano le classiche che si possono trovare all’interno di un’organizzazione aziendale. Deve esserci un’apertura sempre maggiore verso esperienze e professioni che non sono quelle tipiche. Poter avere persone con un’esperienza e una formazione sociale, con un background nel terzo settore, che non c’entrino assolutamente nulla con il business nel quale si opera, permette di non dare nulla per scontato, di avere quello che in inglese si dice il beginner’s eye, l’occhio da principiante, privo di condizionamenti, che consente di capire molto meglio quello che sta accadendo e i possibili collegamenti.

E con il mondo dell’informazione penso che si debba operare esattamente in questo modo: non bisogna dare per scontato assolutamente nulla. L’informazione che si dà deve essere oggettiva, soprattutto nell’offrire la libertà alle persone di esprimere il proprio punto di vista e nel cercare di essere trasparenti. La trasparenza è un valore molto difficile da ottenere, perché, anche se ognuno pensa di essere trasparente a modo suo, per poterlo essere fino in fondo deve fare quell’esercizio di prima. Cioè, non ci si può limitare soltanto a un piccolo spicchio della torta, ma bisogna dare un’informazione che sia a 360°, facendo sì che persone di settori, organismi e stakeholder diversi possano dare la propria opinione.

Oggi siamo tempestati da notizie di qualsiasi genere, spesso in contraddizione le une con le altre, ci arrivano notifiche, e i social network invadono costantemente la nostra giornata tanto che spesso è difficile orientarsi. L’informazione che viene diffusa deve essere, invece, coordinata, comprensibile nel linguaggio e nelle modalità. È necessario, allora, un esercizio di disciplina interna per chi fa informazione e per chi lavora sui media, in modo tale che l’informazione possa essere erogata in modo facile, ma soprattutto coerente, e che possa essere digerita senza condizionamenti di nessun tipo. Non è facile, però almeno stiamo cercando di farlo. E abbiamo tentato di farlo durante questa emergenza, dando voce a persone diverse, cercando di guardare la realtà in tutti i suoi aspetti e non limitandoci soltanto alle esperienze verticali. Essere comprensibili nel linguaggio, poi, non significa cadere nella banalità, ma semplicemente nell’essenzialità, dire le cose necessarie, quelle che possono essere utili.

Ed infine un altro aspetto dell’informazione che ritengo molto importante è quello legato ai suggerimenti. Ci muoviamo in un contesto molto complesso da diversi anni a questa parte, vediamo la tecnologia che si sviluppa in modo esponenziale, la velocità con cui accadono le cose è molto diversa rispetto a prima, la quantità di informazioni che dobbiamo assorbire è enorme. Questa evoluzione, però, spesso è in contrasto con la linearità con cui si muove la società. Bisogna cercare di far sì che questi due aspetti siano molto più vicini tra di loro e questo penso possa essere uno degli obiettivi di chi si occupa di contenuti e quindi di comunicazione.

Quando guardo al futuro quello che immagino non è un’informazione personalizzata, la quale precluderebbe la possibilità di poter vedere aspetti diversi. Come dicevamo prima, se voglio essere più creativo, più aperto e più trasversale ho bisogno di ascoltare punti di vista diversi, non mi posso limitare soltanto a quello che in un certo momento mi interessa, ma devo poter anche vedere quello che succede tutto intorno a me. Quindi immagino un’informazione che possa essere compresa da tutti e che dia spazio al punto di vista di tutti.

D. Una battuta finale sulla multidisciplinarità e sugli ambienti ricchi di stimoli e di confronto. La nostra ambizione è di unire piccoli e medi imprenditori e fornire loro le risorse manageriali di grandi aziende come la vostra, e anche dei consigli pratici. Non tanto, quindi, un lavoro di formazione tradizionale, quanto, invece, di uno scambio e di confronto sui problemi reali. In conclusione cosa direbbe ai fornitori di Sky per convincerli ad abbracciare questa iniziativa?

R. Direi che è un progetto incredibile. Si è spesso parlato in passato dell’open innovation e della collaborazione con realtà diverse. E la trasversalità è importantissima anche per le grandi aziende. Se una grande azienda ritiene di saper tutto e di poter fare tutto senza guardarsi intorno, direi che sbaglia. Se una grande azienda, invece, mantiene i canali di comunicazione all’esterno, anche con delle piccole realtà molto più radicate nel territorio, il valore aggiunto è reciproco, è un vero win-win. Bisogna cercare di inseguire sempre di più questo obiettivo.

La permeabilità delle grandi aziende rispetto alle piccole e viceversa, secondo me, può dare un contributo gigantesco alla nostra creatività, e soprattutto aiutare le piccole aziende a raggiungere una maggiore managerialità o la visione di alcuni aspetti che spesso per mancanza di risorse sfuggono. È un vantaggio reciproco, che ritengo essenziale.

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